PALAZZO BISCARI - CATANIA DI GINO GATTO

10.04.2016 20:23
 

Alla fine, il sogno dell'affabile e cortese Ignazio Paternò Castello, quinto principe di Biscari, è diventato realtà. La sua dimora, in imperioso stile barocco e fondata sulle mura cinquecentesche di Catania, occupa un intero isolato della città, ha l'ingresso principale nell'omonima via Museo Biscari, ed è conservata come il più bel palazzo barocco catanese. Proprio come il principe Ignazio sognava: una dimora esemplarmente bella, che onorasse la città di Catania, e che fosse visitabile da tutti.
I primi lavori di costruzione sono del 1702, a seguito del catastrofico terremoto del 1693, che rase al suolo mezza Sicilia. Prima di questa data esisteva solo un palazzotto al di qua delle mura: Ignazio, l'uomo che continuò il progetto del padre Vincenzo, lo allargò comprando i terreni attigui, perseguendo l'obiettivo di realizzare un luogo a misura di vita, una casa confortevole in ordine e in armonia, che incutesse rispetto e soggezione.
Ignazio era detto "il Grande", soprattutto per le sue idee controcorrente, oggi riprese da alcuni dei suoi discendenti. È scritto che durante la terribile carestia del 1763 il principe non esitò ad aprire i portoni dei suoi granai per sfamare i cittadini bisognosi. Questo gesto di solidarietà è ricordato nello stemma dei Paternò Castello coronato dalle spighe di grano.
A quell'epoca il palazzo comprendeva un solo piano, ma già esisteva il museo, sulla sinistra del cortile d'ingresso, che si arricchiva dei reperti archeologici raccolti dal principe nelle terre dei suoi latifondi della Piana e di Biscari, l'odierna cittadina di Acate, in provincia di Ragusa. Wolfgang Goethe, come racconta nel suo Viaggio in Italia, passò da Catania, sostando e ammirando, nel maggio del 1787, la collezione del principe, che adesso è ordinata in un'ala del castello Ursino, il museo civico catanese.
Il palazzo conta circa settecento stanze, e sorge nella parte più vecchia di Catania, a ridosso del popolare quartiere della Civita, affacciato sul porto e sui famosi Archi della Marina, sopra i quali transita ancora il treno. Fino agli anni Venti, il mare lambiva i bastioni scoscesi, e dalla vicina villa Pacini, identificata dai catanesi come "villa 'e varagghi", cioè "villa degli sbadigli", perché in passato era frequentata prevalentemente dai pensionati, si prendeva il vaporetto per i lidi balneari della Plaja. Una prima opera di riempimento fece però indietreggiare la battigia al limite con gli Archi; e poi una seconda, alla fine degli anni Trenta, portò il mare dove si trova adesso, ben distante dal palazzo, spostandolo di diverse centinaia di metri dal ruolo, voluto, di elegante sentinella di Catania.
Per secoli, il viaggiatore che arrivava in città, già prima di passare dalla porta Saracena di via Etnea, doveva necessariamente fare i conti con la sua mole e la sua eloquente bellezza, impreziosita da portali e putti in pietra calcarea - la costosa pietra bianca di Siracusa - che si stagliavano netti sui muri color ebano, di nero basalto dell'Etna. E lui, Ignazio detto il Grande, dalla sua terrazza alla Marina, al di là della balaustra realizzata e intagliata secondo un suo disegno, oltre le barche dei pescatori e i giochi dei ragazzi di strada, scorgeva sicuramente i profili dei suoi possedimenti terrieri.
Il cuore della dimora è quasi tutto nei saloni, sapientemente restaurati dopo il terremoto del 1991 grazie alla volontà e agli interessi personali degli attuali principi di Biscari, e sono oggi in grado di ospitare convention e ricevimenti sontuosi, sulla linea del principale desiderio del principe Ignazio di "aprire" il palazzo alla società. Attento anche il restauro di tele e affreschi, finanziato in gran parte dalle attività del palazzo.
A destra del cortile è invece situata l'ala privata del Palazzo, dove ha sede il Circolo dell'Unione di Catania, l'assessorato alla Cultura del comune di Catania e gli appartamenti privati dove abitano stabilmente almeno undici persone della famiglia. Palazzo Biscari rimane dunque fruibile nel cortile, in numerose sale, nel salone delle feste, nella galleria e nella terrazza sul porto.
Una poderosa scalinata, a doppia rampa in basalto dell'Etna, suggella il cortile maggiore, sul quale è incernierato l'intero edificio. L'ingresso è un solenne ambulacro, in cui sono appese ai muri le tele settecentesche dello Stato di Biscari, con i suoi estesi vigneti e la fiorente produzione di bachi da seta; quindi si accede alla quadreria, le cui tele più importanti sono state cedute al Museo civico, ma che conserva la preziosa pavimentazione in maiolica policroma, voluta da Ignazio nel 1711 e realizzata dai mastri artigiani di Vietri.
Nella sala dei ritratti di famiglia c'è un ritratto del padre Vincenzo accanto alla cantoniera, la stessa che oggi si trova al di sotto del quadro, poggiata sullo stesso pavimento di tre secoli fa. Il salone centrale, o delle feste, è una sontuosa "piazza" interna, lunga una ventina di metri e larga undici, cuore rococò con profusione di stucchi e di decorazioni, queste ultime ordite su tre livelli. Nel primo compaiono i membri della famiglia dei principi; sopra, sono raffigurati gli dei minori; al terzo livello, nella cupola della loggia della musica, Vulcano celebra nel Consiglio degli dei il trionfo del casato dei Paternò Castello. Quassù, i musicisti salivano lungo un'ardimentosa scala a forma "di fiocco di nuvola",come la definì il principe Ignazio, interamente in stucco bianco, che ha sfidato nei secoli ogni calcolo d'ingegneria.
Infine una curiosità nella storia di questo palazzo, che è passato dalla cruna dell'ago durante l'ultima guerra, con lo sbarco degli inglesi e l'occupazione della città. Gli inglesi arrivarono da mare e, cercando la migliore postazione di difesa a ridosso del porto per montare le batterie di cannoni, la trovarono nel palazzo Biscari. Dal comando dell'aviazione di Sua Maestà venne l'ordine di abbattere il secondo piano dell'edificio, ma una volta entrati nelle sale, gli ufficiali, rendendosi conto del valore storico e architettonico del palazzo, fecero marcia indietro. Tornarono dopo pochi giorni, però, con secchio e pennello, due racchette da tennis e una pallina. E fu così che, sotto gli occhi esterrefatti del dio Vulcano, tra gli stucchi dorati, tra i camini e gli specchi, e sul pavimento rilucente di ceramica, in quell'esclusivo piccolo mondo rococò, fu segnato il primo campo da tennis indoor che Catania ricordi, e che ancora porta traccia visibile di vernice bianca.
 
 
 
notizie dal sitohttps://www.palazzobiscari.com/info/palazzo.htm)